CHI SE NE FREGA DELLA POLITICA... provi un po' a leggere qua
sito dedicato ai meccanismi che muovono la politica e che i politici preferirebbero nascondere. A cura di Giovanni Genovesi

5.2. Capire il nostro tempo

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In politica ci si ostina a ragionare secondo principi, contrapposizioni ed ideologie vecchi di circa un secolo, ancora ancorati a visioni filosofiche giustificate da cognizioni scientifiche ora superate. Oppure ci si affida al senso comune ed al buon senso, ignari di come la varietà delle situazioni ricada in campi in cui questo modo di pensare può rivelarsi non solo inappropriato, ma addirittura deleterio(1).

Il retaggio del passato(2) impedisce di affrontare i problemi di oggi con gli strumenti di analisi e di risoluzione oggi disponibili, ma nasconde anche un altro punto determinante: capire il nostro tempo significa anche capire meglio noi stessi, la nostra società e l'ambiente in cui viviamo. Ciò non significa doversi imbarcare in difficili studi; basta un modesto interesse, un po' di pazienza e maggiore attenzione ai possibili inganni di chi vorrebbe mantenerci ignari ed ingenui per meglio manipolarci(3).

Tra i più importanti fattori di comprensione, forse il più rilevante è la ridefinizione di come concepiamo le nostre capacità di scelta e di giudizio e della fiducia che meritano le nostre percezioni(4). Questa scelta potrebbe sembrare problematica ma non lo è veramente(5). Tutto sommato si tratta solo di recuperare la visione socratica della conoscenza, del sapiente come colui che si rende conto della propria ignoranza, e proprio per questo mantiene una grande apertura mentale nei confronti degli altri e delle loro idee, insieme ad una sana diffidenza verso idee e persone o gruppi che mirino a eleggere la loro visione a mo' di unica Verità(6). Conosci te stesso, consigliavano gli antichi: peccato che molte recenti scoperte rendano spiacevole questa conoscenza, spiacevolezza che rende più facile la tentazione di volgersi altrove, di evitare il confronto con una idea di sé che potrebbe risultare scomoda, oltre che concettualmente difficile. A ciò si aggiunga anche il fatto che a partire dall'enunciazione della teoria della relatività, per non dire della meccanica quantistica, una mole enorme di fatti controintutivi sono stati teorizzati e poi sperimentati, rendendo ancora più ostico alla nostra mente l'abbracciare delle conoscenze che per senso comune e per buon senso ci appaiono piuttosto paradossali, se non folli, o come minimo insignificanti per la nostra vita quotidiana.

Qui ci soffermeremo brevemente sull'aspetto psicologico della comprensione, poiché una cattiva idea di come conosciamo può pregiudicare la nostra capacità di conoscere meglio ed ulteriormente, può determinare negativamente la nostra capacità di giudicare gli altri e, per quel che qui interessa, farci inquadrare i problemi in un'ottica che li snatura o li rende irrisolvibili. Nelle sezioni seguenti ci dedicheremo più in particolare ad altri aspetti del sapere indispensabili per capire il nostro tempo, quali la teoria dell'evoluzione (vedi 5.3), la teoria dei giochi (vedi 5.4), la teoria dei sistemi (5.5) e, infine, la filosofia a costruire un quadro comune di riferimento (5.6).

Dobbiamo tenere a mente questi due concetti: quadro di riferimento, cioè l'idea del mondo che guida la nostra interpretazione della realtà, e inquadrare, il processo con il quale sistemiamo nel suddetto quadro i fatti, le cose e le persone di cui facciamo esperienza.

Il quadro di riferimento non è qualcosa di completo e coerente, non è univoco per i molti aspetti del nostro vivere, né può dirsi aderente alla realtà. Non è neppure unico: possiamo usare il singolare solo in quanto una è la persona cui quello si riferisce, ma la persona stessa possiede più quadri di riferimento, che talvolta si sovrappongono e altre si contraddicono, a seconda dei vari ambiti della propria vita, del fatto che la situazione sia rilevante per sé, per familiari o amici, per estranei od avversari. Inoltre, sebbene sarebbe utile aggiornare il proprio quadro di riferimento quando nuove informazioni lo contraddicono, siccome in detto quadro si riconosce la nostra identità ecco che modificarlo diventa tanto più difficile quanto più legati al nostro sentire sono le idee da modificare. Ed ancora: pure quando il nostro quadro fosse manifestamente imperfetto, sarebbe comunque indispensabile, poiché senza di esso non sapremmo come classificare la nostra esperienza, dunque non potremmo neppure conoscere.

Inquadrare le nostre esperienze nel quadro di riferimento comporta delle scelte; scelte determinate dal tipo d'esperienza, dal quadro posseduto, dallo scenario futuro prospettato. Scelte che possono essere dannatamente sbagliate per una lunga serie di motivi legati non solo a cause esterne, ma ai meccanismi percettivi, cognitivi e logici della nostra mente(7). Senza approfondire detti meccanismi, vediamo quali sono le disposizioni che assumiamo nei confronti dei ciò che ci capita, così da poterne tenere conto e correggere la nostra inquadratura di conseguenza, arrivando ad una più precisa ricostruzione della realtà.

Partendo dal momento in cui acquisiamo informazioni su una data situazione o problematica, si tende a sovrastimare le cose più evidenti o pubblicizzate e sottostimare (o non considerare) il resto.
Tendiamo a dare molto più peso alle informazioni acquisite per prime.
Concettualizziamo il problema sulla base della precedente esperienza e conoscenza (lo stesso problema può essere visto come religioso da un prete, economico da un commerciante, gestionale da un amministratore).
Si tende a scoprire quel che ci si aspettava di trovare, cercando informazioni consistenti con l'assunto da cui si era partiti e scartando quelle che lo contraddirebbero.
Confrontando con le passate esperienze compatibili al problema che si sta affrontando, tendiamo a considerare solo le volte che ci è andata bene, dimenticando gli insuccessi.
Infine, diamo più peso alle informazioni concrete (tipo la nostra esperienza diretta o quella di una persona conosciuta) piuttosto che a quelle astratte (per esempio i dati statistici), anche quando i secondi avrebbero maggiore rilevanza.

Una volta acquisite le informazioni, le dobbiamo elaborare. In questo, valutiamo inconsistentemente le varie possibilità a disposizione.
Formatici un'opinione, diventa improbabile cambiarla anche di fronte a nuove informazioni.
Nel caso in cui si debbano trattare relazioni non lineari tra le variabili da considerare, la difficoltà cognitiva del compito impedisce una trattazione adeguata, tendendo piuttosto a cercare scorciatoie più praticabili (segretamente sperando che siano anche efficienti).
Quest'ultimo fatto comporta che si tenda ad usare una alternativa rivelatasi efficace in passato anche quando la stessa sarebbe invece inappropriata, inopportuna o dannosa.
Si tende a sovrastimare la stabilità dei dati in nostro possesso, rinunciando a verificare se le nuove informazioni modificano il quadro che ci si era costruiti.
Così si fanno previsioni aggiustando le aspettative derivate dai nostri pregiudizi senza mai mettere in discussione il fatto che detti pregiudizi possano non mantenersi validi.

La risposta ad una data situazione risente del cosiddetto wishful thinking, la tendenza a ritenere i risultati attesi più probabili di quanto non siano, e le conseguenze spiacevoli meno probabili (se non inesistenti) di quel che le informazioni a disposizione lascerebbero presumere (se valutate accuratamente).
Infine, si soccombe facilmente all'illusione del controllo, cioè all'idea che l'esito delle nostre scelte, dipendendo da ciò su cui abbiamo potere, sia nelle nostre mani, e in questo sottostimiamo l'influenza di quei fattori sui quali invece nulla possiamo.

Volendo possiamo ulteriormente sintetizzare le suddette indicazioni in due soli elementi abbiamo: il pregiudizio dell'attribuzione intellettuale e la tendenza a cercare conferme alle proprie opinioni. Il primo può esprimersi così (semplificando): quando faccio una cosa bene è merito mio, quando la faccio male è colpa altrui; quando l'altro fa una cosa bene è fortunato o deve dire grazie al contesto in cui ha agito, se la fa male è colpa sua. Il secondo concetto è già emerso esplicitamente sopra.

Possono queste conoscenze aiutarci a capire meglio il nostro tempo?
Non sono solo una serie di affermazioni psicologiche importanti per la persona, piuttosto che per capire il contesto in cui viviamo?
Sì e no, rispettivamente.

Guardiamo ai fatti della politica: di solito i vari leader annunciano degli obbiettivi il cui raggiungimento danno per certo, e sono puntualmente smentiti dalla realtà degli accadimenti (illusione di controllo e wishful thinking); tendono a riversare ogni valenza positiva su un unico aspetto del problema, dimenticando gli altri (la riduzione delle tasse, per alcuni, o la devolution, per altri, o i diritti acquisiti per altri ancora); non ammettono mai le sconfitte ed esaltano oltremisura anche i pareggi, figuriamoci le vittorie. Gli esempi concreti di quanto su detto, presi dalla vita politica di tutti i giorni potrebbero continuare. Tenere a mente quanto sopra serve a vedere con maggiore consapevolezza quanto fanno le persone intorno a noi (oltre che essere utili a noi stessi), a capire se le scelte compiute sono ben valutate o no, a riconoscere il comportamento come coerente ai principi enunciati o agli egoismi nascosti.

Per dirla brutalmente: confrontando con quanto sopra appreso il comportamento pubblico altrui possiamo capire se questi sta cercando di fregarci vendendoci pessimo fumo, oppure se sta seriamente cercando di venire incontro alle nostre esigenze e di risolvere senza pezze i nostri problemi.

E ciò sarà pure poco, ma è molto più di quel che si avrebbe altrimenti, cerchiamo di metterlo a profitto.

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NOTE
(1) Per una più approfondita spiegazione su quel che intendo per senso comune e buon senso, vedi alla parte 4.1. (torna al testo)
(2) Vedi la parte 5.1 precedente. (torna al testo)
(3) Vedi la parte 1.6 e i relativi approfondimenti. (torna al testo)
(4) Sempre importante rivedere la parte 1.6 e av con i link ivi riportati, nonchè la 4.1 e 4.2. (torna al testo)
(5) L'uso discorsivo del linguaggio ci costringe a sacrificare la precisione a beneficio della fluidità, specie qui ove lo scopo è quello di dare una comprensibile idea dei concetti in gioco. (torna al testo)
(6) In proposito propongo il seguente brano: "...i modelli non sono strumenti predittivi (non ci dicono ciò che avverrà fra un anno o fra 10 anni) sono piuttosto strumenti di apprendimento che ci fanno capire meglio alcuni meccanismi di funzionamento e dinamiche dei sistemi reali. Forzandoci ad esplicitare i nostri modelli mentali ci perme di verificarne il senso e di comunicarli. Il nostro conoscere avviene comunque attraverso modelli, il problema è che spesso non ne siamo coscienti, ovvero le persone non si distinguono tra chi usa modelli e chi non ne fa uso, ma fra chi è cosciente di usarli e chi non lo è. Infine, a costo di annoiare, va sempre ripetuto che non ci sono modelli veri e modelli falsi: tutti i modelli sono falsi, in quanto rappresentazioni sempre molto parziali della realtà e da essa molto lontani. Ci sono però modelli utili e modelli inutili. (dal file Problemi e sistemi, ho erroneamente cancellato l'autore)". Il file da cui è stato tratto si intitolava "Problemi e sistemi"ed era in formato pdf. Purtroppo ho erroneamente cancellato la copia registrata in locale e non sono ancora riuscito e reperire di nuovo il link originale per rendere i giusti meriti all'autore. Spero di poter rimediare al più presto. (torna al testo)
(7) Per una semplice ma estesa e comprensibile trattazione degli errori in cui incappiamo a causa del modo di funzionare della nostra mente, vedi Ubaldo Nicola, Sembra ma non è - 60 esperienze filosofiche per imparare a dubitare. Per quanto segue nel testo, vedi Michael Shermer, Why people believe weird things, e Robert J. Sternberg (a cura di), Why smart people can be so stupid. (torna al testo)

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28 gennaio 2005

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